lunedì 12 ottobre 2009

Libertà di pensiero e libertà d'insegnamento nella Costituzione italiana


12/10/09


Appunti dell’ intervento di Francesco Zaffuto nella

Giornata dell’insegnante 5 ottobre 2009 – Milano – Liceo Carducci – GILDA degli Insegnanti

L’azione di divulgare il pensiero è l’azione connessa alla libertà di pensiero. Una comunità sociale che vuole salvaguardare la libertà di pensiero deve permettere la sua libera divulgazione. Ogni limitazione alla divulgazione del pensiero, oltre ad essere un delitto contro la libertà di ogni singolo uomo, è un delitto contro l’umanità perché impedisce l’evoluzione dei processi di conoscenza.

Mentre nelle società autoritarie e totalitarie i limiti alla libertà di divulgazione del pensiero sono ben evidenziate dalle norme di legge ed il delitto contro l’uomo è abbastanza esplicito; in alcune società democratiche troviamo gli enunciati sulla libertà di pensiero posti tra le principali norme delle Costituzioni e una serie di norme applicative, leggi successive, che riducono nei fatti la possibilità di divulgare il pensiero o che danno il privilegio di questa divulgazione ad alcuni gruppi, spogliando gli altri individui di questa libertà.

La libertà di pensiero e della sua divulgazione nella nostra Costituzione italiana è inserita in un triplice aspetto:
- libertà di religione e di culto (artt. 7, 8, 19, 20)
- libertà di informazione e di stampa (art. 21)
- libertà di studio e di insegnamento (art. 33)
-
(vengono di seguito riportati gli articoli integralmente per facilitare la successiva osservazione; mi risparmio di leggerli)
Art. 7.Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Art. 8.
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Art. 19.
Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.
Art. 20.
Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.
Art. 21.
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
Art. 33.
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

Da una disanima anche rapida degli articoli della Costituzione si può notare che riguardo alla libertà di religione e di culto viene riconosciuta la più ampia autonomia, tranne il generico limite di “purché non si tratti di riti contrari al buon costume” .

Nel caso della libertà di informazione e di stampa, dopo un’affermazione generale di ampio respiro come: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” ; si passa a precisazioni su possibili limiti. Si prevede addirittura il sequestro anche in caso di “violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”. Questa precisazione sui possibili limiti sarà tradotta successivamente in una visione ancora più restrittiva dalla legge n. 47 dell'8 febbraio 1948, dove vengono istituiti l’Ordine dei giornalisti, l’obbligo di registrazione di ogni periodico e l’obbligo di indicare un direttore responsabile con la qualità di iscritto all’Ordine.

Nel caso della libertà di insegnamento l’art. 33, dopo una affermazione molto ampia come:

“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, non seguono limiti alla libertà d’insegnamento, ma vengono piuttosto affermate delle prerogative che lo Stato riserva a se stesso.

Enti e privati sono completamente liberi di istituire scuole di pensiero ed istituti educativi, ma lo Stato si riserva di:
- dettare norme generali sull’istruzione
- istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi
- di riconoscere un valore pubblico dei titoli di studio
L’atto con cui la Costituzione riconosce il valore è il cosiddetto “esame di Stato”.Esame che vale per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole pubbliche; per la conclusione e il riconoscimento del titolo conseguito alla fine degli studi; e per l’abilitazione all’esercizio professionale. La conclusione positiva dell’esame di Stato permette una equiparazione tra studenti che hanno frequentato una scuola pubblica e studenti che hanno frequentato una scuola privata.

Notiamo che il legislatore costituzionale è stato attento alle prerogative della scuola pubblica ma anche alle prerogative della scuola privata. Mentre nel caso della libertà di stampa ha previsto dei limiti, nel caso della libertà d’insegnamento pare essere più garante della libertà di divulgazione del pensiero; non è fuori luogo interpretare che la libertà di insegnamento sia stata intesa in Italia come quella più affine alla libertà religiosa; la forte presenza di istituzioni scolastiche cattoliche può essere stata la motivazione storica di tale atteggiamento garantista.

Ma il legislatore costituzionale nel contempo ha voluto rispondere a una tradizione dello stato liberale e laico, che dopo la fine del fascismo aveva ripreso vigore. Per rispondere a questa tradizione laico-liberale inserisce: “ Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.”La dizione è abbastanza chiara e non può portare ad equivoci: la Costituzione riserva allo Stato la possibilità di costruire scuole servendosi della generale imposizione fiscale. Le scuole private sono libere negli indirizzi e nell’insegnamento ma ciò non può comportare oneri per lo Stato.

Eppure lo Stato ha finanziato spesso le scuole private. Come è potuto accadere?

La spiegazione (o meglio la scusa) la troviamo nel cosiddetto concetto della parità concessa alle scuole private che la chiedono. Nel successivo capoverso dell’articolo 33 abbiamo: “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.”E’ abbastanza evidente che questo capoverso non può rovesciare l’esplicito capoverso precedente del “senza oneri per lo Stato”; ma è diventato il cavallo di Troia con cui si è giustificata l’emanazione di leggine successive particolari, dove si potevano fare arrivare finanziamenti a scuole paritarie che in qualche modo assolvevano in modo equipollente a una funzione di Stato.

Il futuro ci fa presagire che questo andazzo di cose continuerà ad essere percorso anche se contrario a quel capoverso della Costituzione che esplicitamente dice senza oneri.

Nel dibattito sul finanziamento alla scuola privata è entrata con prepotenza, qualche anno fa, la proposta del cosiddetto Bonus da dare alle famiglie, spendibile a loro scelta nella scuola pubblica o in quella privata. Sul piano giuridico una tale procedura sconvolge il dettato costituzionale perché una parte delle entrate fiscali dello Stato sarebbe devoluta per Bonus alle scuole private; ma inoltre, tale procedura può determinare un vantaggio per le scuole private che potrebbero incamerare oltre al Bonus pubblico anche le rette e contributi di privati; rette e contributi privati che difficilmente arriverebbero alle scuole pubbliche.

Uno dei punti chiave della libertà d’insegnamento è la cosiddetta abilitazione all’insegnamento riconosciuta con esame di Stato così come previsto in generale dallo stesso art. 33 che è estendibile a tutte le professioni “È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.”L’ articolo 33 se non si esamina sotto il profilo della libertà può assumere un aspetto contraddittorio: nel suo enunciato iniziale afferma “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”; nel suo enunciato finale afferma che per l’esercizio di una professione è necessario un esame di Stato. Se questo articolo lo si considera sotto il profilo della libertà, l’abilitazione all’insegnamento può valere solo per le scuole pubbliche e per quelle scuole che intendono chiedere una parificazione alla scuola pubblica, ma non può valere per le scuole private, perché andrebbe a ledere la stessa libertà d’insegnamento conclamata nell’enunciato generale.
Oggi ci troviamo di fronte ad una possibile ulteriore riforma del come si diventa insegnanti; abbandonati i corsi di abilitazione; abbandonati i concorsi con esami di abilitazione; abbandonate le SISS; si sta avviando una riforma improntata alla laurea specialistica indirizzata esclusivamente all’insegnamento e con un numero chiuso iniziale. Tale procedura di abilitazione restrittiva dell’esercizio della professione potrà essere applicata solo alle scuole pubbliche e paritarie, sarebbe lesiva della libertà se fosse applicata anche all’esercizio dell’insegnamento nelle scuole private.

Dopo questo tentativo di disanima dell’art. 33 può essere necessaria una riflessione sulla libertà di insegnamento vista da chi vive nella scuola: insegnanti e studenti.

Si può intendere come insegnamento l’atto di chi detenendo delle conoscenze vuole trasferirle ad altri individui; non solo divulgando queste conoscenze con parole e scritti, ma utilizzando anche un insieme di momenti esplicativi coordinati nel tempo (lezioni, spiegazioni, incontri periodici, tecniche varie).

Se affermiamo come necessaria la libertà d’insegnamento dobbiamo altresì affermare che il fine dell’insegnamento è un fine di libertà. La libertà di pensiero deve essere intesa sia per il maestro come per l’allievo poiché il processo educativo è un’interazione tra docente e discente.

Ma cosa significa appropriarsi delle conoscenze?

Se l’allievo avrà ancora bisogno del maestro, se deve essere ancora dipendente da lui, vuol dire che il processo educativo non è ancora completo o ha fallito nelle sue finalità.
Il vero maestro è quello che lavora nella libertà d’insegnamento per la scomparsa di se stesso: ha fatto diventare liberi e autonomi i suoi allievi con un livello di conoscenza più elevato.

Ora, maestri ed allievi sono più liberi in una scuola pubblica o in una privata?

Considerare un’istituzione scolastica privata più libera di una pubblica o viceversa è un esercizio inutile se non viene esaminato anche il contesto storico e le condizioni normative. In Italia la scuola pubblica, dal dopoguerra ad oggi, si è andata caratterizzando come scuola laica e aperta a una pluralità d’interventi culturali, la stessa cosa non si può dire per molte scuole private legate all’influenza di gerarchie ecclesiastiche.
La liberà d’insegnamento non è data dalla condizione di struttura privata o pubblica della scuola ma dal margine di libertà d’insegnamento e di apprendimento che in tale scuola possono esercitare maestri e allievi.
Il margine di libertà dell’insegnamento nelle scuole private è determinato dal progetto di chi ha istituito la scuola, può essere ampio o estremamente ridotto; il margine di libertà di insegnamento nella scuola pubblica è determinato da standard definiti in qualche modo a livello ministeriale.

Se ci addentriamo nell’esame del margine della libertà di insegnamento nella scuola pubblica ci accorgiamo che negli ultimi anni si è andato riducendo per i seguenti motivi:
- alle generiche linee di programma ministeriale che il docente doveva svolgere adattandolo alle condizioni della classe si è sostituito il POF di istituto, spesso definito non solo nel programma ma anche nelle metodologie. Una maggioranza di docenti con il voto determina nel Collegio docenti regole che valgono per tutti, ed a volte entra nel merito di programmi, metodologie, libri di testo in modo poco rispettoso della libertà d’insegnamento del singolo docente. La libertà d’insegnamento nella visione del POF diventa sempre più libertà collettiva del singolo Istituto e sempre meno libertà del singolo docente.
- i docenti sono sempre più considerati come impiegati con compiti burocratici e vengono continuamente premiate attività non legate all’insegnamento. Le attività aggiuntive, previste nei vari contratti collettivi, premiano con benefici economici le attività di non insegnamento, distraggono l’insegnante dalla sua attività principale e riducono il prestigio dell’insegnamento stesso.
Ma il futuro presenta ulteriori rischi di indebolimento della libertà d’insegnamento che possono determinarsi con:
- l’abbandono delle cosiddette graduatorie di accesso per l’assunzione che in qualche modo hanno assicurano una parità di trattamento indipendente dal portato delle idee dei singoli docenti. La cosiddetta assunzione diretta degli insegnanti che viene auspicata come una facoltà da dare ai Dirigenti scolastici, può ridurre la scuola pubblica ad ente amministrativo privato e può favorire tutti gli aspetti clientelari. Il Dirigente scolastico non può mai essere assimilato al Direttore di una scuola privata; nella scuola privata il rischio economico e culturale di un privato può giustificare la sua facoltà di scegliere il personale, nella scuola pubblica l’assunzione del personale deve fare riferimento a un concorso pubblico dove il merito è misurabile con precise norme. Le graduatorie sono state in qualche modo un preciso riferimento di merito, considerando che hanno fatto riferimento a voti conseguiti nei titoli di studio, di abilitazione, e nel punteggio per avere prestato servizio senza demerito.
- l’introdurre misurazioni di meriti conseguiti durante l’insegnamento non definibili oggettivamente. Oggettivizzare la ricaduta dell’insegnamento sugli allievi non è facile perché spesso tale ricaduta la si può avere ad una distanza di tempo molto lunga. Gli allievi si ricordano dei buoni maestri dopo tanti anni; quando sono adulti e capaci di apprezzare le antiche lezioni ricevute. Il ricorso a misurazioni di apprendimento affrettate sugli allievi, per misurare il merito dei docenti, può portare i docenti stessi a scegliere interventi didattici di moda a discapito di interventi di contenuto profondo che si debbono sedimentare nel tempo.
- l’avanzata progettazione sistemi di istruzione a distanza attraverso strumenti audiovisivi e collegamenti internet. Se gli strumenti audiovisivi e i collegamenti a distanza sono decisi e scelti dallo stesso insegnante per migliorare la sua lezione, possono ricadere nelle sue scelte di libertà di insegnamento; ma se sono scelti dall’Istituzione per sostituire le lezioni del docente, siamo di fronte non solo a una forte lesione della libertà d’insegnamento del docente ma addirittura al progetto della sua scomparsa: la classe potrà essere ben gestita da un guardiano e l’insegnate apparirà sul monitor; il problema della libertà d’insegnamento per il singolo insegnante non ci sarà più perché non ci sarà più neanche l’insegnante.
La strada della libertà di insegnamento è lastricata di sassi aguzzi per il futuro; certo l’insegnante greco, schiavo dei romani, che deteneva una cultura più forte seppe vincere la sua libertà a distanza nel tempo; ma oggi le condizioni sono un po’ diverse, le conoscenze non sono solo detenute dagli insegnanti, sono spesso detenute da centri di potere e da centri mediatici, e gli insegnanti sono spesso deboli e divisi. La necessità per gli insegnanti di associarsi per difendere la libertà di insegnamento è essenziale; non certo rivendicando un ordine come nel caso dei giornalisti che ha spogliato della libertà di stampa degli altri cittadini, ha garantito le posizioni di privilegio dei grandi giornalisti e non è certo servito a migliorare le condizioni di tanti paria del giornalismo; ma costruendo una grande e libera associazione degli insegnanti.
La GILDA degli insegnati è stata l’esperienza più interessante nel panorama della scuola pubblica in Italia dal dopoguerra a oggi; spesso le necessità dettate dalle scadenze sindacali hanno frenato il processo di costruzione dell’associazione dei docenti, ma è necessario continuare nel processo di costruzione della grande associazione libera dei docenti.
francesco zaffuto

(immagine – “alla ricerca della libertà” china © francesco zaffuto link Altre allegorie)

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